Cultura

Giuseppe Tangaro, la memoria del mondo e il teatro delle maschere

La Redazione
Uno scritto inedito di Giuseppe Lagrasta, poeta, scrittore e saggista, amico di Giuseppe Tangaro scritto in occasione dei 10 anni dalla scomparsa del pittore e scultore andriese
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Riceviamo e pubblichiamo uno scritto inedito di Giuseppe Lagrasta, poeta (Premio Internazionale Eugenio Montale – 1989), scrittore e saggista, amico di Giuseppe Tangaro che ha voluto rendere omaggio al suo amico pittore e scultore, con uno scritto su due opere scultoree in gesso colorato, inedite a distanza di 11 anni dalla sua scomparsa.

«Il volto inquieto, lo sguardo ironico e gli occhi pieni di luce e di coraggio pronti per leggere ogni dettaglio della mappa del mondo: occhi e sguardo di Giuseppe Tangaro, desiderosi di scrutare e indagare i graffiti, le tracce abbandonate da una umanità distratta dalle parole e dalle cose.

Ecco il foglio del mondo su cui Tangaro, pittore e scultore poliedrico e enigmatico, ha affrancato la sua continua ricerca per poter "colpire nel segno", i tanti simboli – emblemi fuggitivi dell’umano, abitatori disincantati oppure oppressi o dimidiati che calpestano il teatro della memoria del mondo.  

Ecco, appena tratteggiato, con alcuni elementi essenziali, il laboratorio visivo-creativo-trasformativo di Giuseppe Tangaro, caro amico che abbiamo perduto dieci anni fa e che ha lasciato in tutti noi un senso di vuoto, una risonanza interiore ed emotiva, dolorosa.

Per me incontrare Giuseppe, era una giusta occasione per sfogliare pagine e pagine di storie e immagini, da lui raccontate con affabilità o tensione emotiva, soprattutto quando descriveva un suo lavoro in fieri, fosse un dipinto o una scultura. Spesso ci ritrovammo a discutere del gioco delle parti e del gioco delle maschere pirandelliane ma anche del gioco incivile del potere che negli anni Ottanta – Novanta del secolo scorso asfissiava i luoghi della comunicazione artistica.
E cosi oggi, con questa nota, desideriamo testimoniare, l'alfabeto del gioco delle maschere di Giuseppe Tangaro, i volti e gli sguardi, gli occhi e la luce degli occhi, e quello sguardo che lui sapeva, con esemplare pacatezza ma a volte, anche con dolore, rabbia e inquietudine, posare sugli orizzonti verso l'infinito di Castel del Monte oppure verso la piana della Murgia o anche quando ci incontravamo a Barletta, guardando e scandagliando le onde del mare Adriatico come accadeva a Monsieur Palomar di Calvino o come esplorava Monsieur Teste di Paul Valery.

Entrando nel vivo della disamina facciamo notare come il primo elemento visivo che emerge nel leggere il gioco annunciato da alcune sculture in gesso, che in questa occasione presentiamo per la prima volta, riguarda lo sguardo sorpreso su quei volti, trasformati in maschere dagli occhi accesi, ma liquidi e malfermi.

E le maschere create da Giuseppe Tangaro, pittore dai sicuri esiti critici internazionali, raccontano l'insieme familiare o gruppale che ravviva la memoria collettiva ma anche singola, capace di definire e definirsi, come " gruppo" disposto alla ricerca di un bene perduto. 

Infatti, il teatro delle maschere di Tangaro, raccontato nella scultura, “Evoluzione”, (gesso colorato, base cm. 35, prof. Cm. 30, h. cm. 66, 1993), è fatto di voci interiori, di dissonanze cognitive, di occhi che si esaltano e ravvivano il palcoscenico della memoria immaginativa e politica tangariana. 

Le maschere qui presentate discutono di un mondo non scritto e si intrecciano, abbracciate in un gioco destabilizzante provocato dal mondo scritto, devoto alle dinamiche ad uso del partito preso delle cose, alimentato dal mare dell'oggettività che lo scrittore accoglie e frantuma con la lezione di stile implicita alle defigurazioni poetiche.

Le defigurazioni si appropriano dei volti e degli sguardi avvelenati dalla vita e che parlano di una vita interiore nascosta nel sottosuolo del quotidiano. E ciò che traspare dalle sculture di Tangaro è la metafora sottesa all’incomunicabilità tra gli esseri umani, che pur stando insieme, sono lontani forse anche mille anni luce.

Così l’alfabeto delle illusioni perdute o scovate nella città dal sole meridiano e della luce murgiano-adriatica di Tangaro, si arricchisce dello sguardo infinito gettato agli orizzonti e che è in grado di determinare il canovaccio per governare le illusioni del tempo perduto alla ricerca di una quete o di una reverie, tutte interiori. Il tempo del sogno di Giuseppe Tangaro è attraversato da un fiume di figure inquiete, tese a ritrovare una dimensione di umanità pur tra gli atti traditi dal tempo, pur tra le ferite mai rimarginate che hanno marcato il volto del Sud, di un Sud del mondo, caratterizzato da estreme inquietudini, elementi fondativi che ricaviamo dopo una attenta lettura della scultura "Mutazione", (gesso colorato, base cm. 35, prof.  cm. 30, h.  cm. 66, 1993): le maschere di Tangaro, infatti,  lasciano tracce, reperti di una memoria franta, scavata, ipogeica, allusiva, illuminante e icastica, presentando gli attori raccolti in un tenero antro in ribalta, prima di apparire sulla scena del mondo.

Le maschere motivate dalla creatività di Giuseppe Tangaro, in sé e per sé, sono tragiche, ma allo stesso tempo, ironiche, irridenti, spontanee, alcune bendate, mute, altre con gli occhi smarriti, altre mordaci e villane, interroganti, tali da possedere la forza di contrastare il tedium vitae, il silenzio assurdo degli spettatori, il vortice provocato dal desiderio dell'anima, corpi, questi, avvolti dalle spire di un serpente. È la rappresentazione dell'uomo dimidiato, sempre con la vita contrastata, tra il desiderio di vivere e la paura sospesa del morire mentre dietro maschere dissonanti si nascondono vite umane, interiorità esistenziali, ombre che sul palcoscenico del mondo raccontano sia le vicende umananti che le torture quotidiane provocate dal gioco del caso e della sorte. Ma la condizione umana delle maschere parlanti di Tangaro esprime una lezione umana, esercizi di meditazione per organizzare una sfida. E chi sfida Giuseppe Tangaro? Ma il pittore e scultore sfida il gioco dinamico ed emotivo provocato dagli esseri umani, dal vuoto e dal nulla in cui vivono, chiedendo intercessioni allo scriba celeste, signore dai poteri forti e occulti, dio dell’immaginazione e della creatività.

Così le maschere di Tangaro sono rivoluzionarie perché nascono dalla voce di uno sguardo celeste, perchè vivono di una inquietudine provocata dallo sguardo interiore, che annienta il nulla e il vuoto, scatenando una indagine profonda sullo stato delle cose, sul partito preso dell'umano, sulla riviviscenza del pulviscolare e dell'opacità del mondo.

Volti che non tentano nessun nascondimento.

E non cercano linee di fuga.

E non chiedono aiuto.

E non respirano troppo per non disturbare.

E non hanno paura di affrontare la vita né temono l'invito di Sisifo e la sua assurda condanna.

Ma sono maschere però umbratili, che abitano ogni giorno le ombre interiori che scuotono il cuore, il volto e la carne dell’umano.

Volti e sguardi però che non fanno da guastatori onnivori.

Spesso indossano uno sguardo e recitano una parte, interpretando la maschera che gli umani da secoli indossano, stando vicini l'un l'altro, senza far rumore, senza disturbarsi.

Con indifferenza matrigna.

Così, tra una umanità in dissipazione e in continua attesa di un livellatore o deus ex machina, si svolgono i discorsi tra le maschere che non sappiamo se sono in riunione per decidere se offrire meraviglie o incanti oppure se continuare a vivere in attesa di Godot per discutere con lui sul da farsi rispetto a tutto questo mondo di esseri immaginari usciti dalla fantasia o dello scriba celeste oppure di Jorge Luis Borges.

Così il teatro della memoria di Giuseppe Tangaro si fa ricerca, sogno e immaginazione, realismo magico alimentato dalla passione per il gioco delle visioni dei giorni e delle stagioni della vita.

Ecco il teatro delle visioni, il teatro delle maschere dissolventi, il teatro della memoria tangariana dove tutti gli attori, maschere della luna e del sole, sono alla ricerca delle illusioni perdute tra le città plurali e Castel del Monte, tra le vie a mosaico delle Città del Mondo (Einaudi,  1969), narrate da Elio Vittorini, che intridono di ombre il cuore degli dei delle città, e la Città di Andria, raccontata da Italo Calvino, nel romanzo “Le Città invisibili”, (Einaudi, 1972) dove ogni innovazione che accade nella città  – così scrive il narratore ligure – ,  influisce  sul disegno del cielo.

Ecco che un fiume di narrazioni, teso a far affiorare un amore profondo verso le forme e i colori delle città metafisiche e labirintiche di Giorgio de Chirico, (tanto care al teatro della mente tangariana), ci conduce tra luce e buio, fino all’uscita della caverna platonica, per riavviare una nuova Conversazione in Puglia tanto cara al Vittorini di “Conversazione in Sicilia”, (Einaudi, 1969)

Bibliogafia Essenziale:

Giuseppe Lagrasta, Sette poeti inediti, Premio Internazionale Eugenio Montale, Vanni Scheiwiller Editore, Milano, 1989.

Giuseppe Lagrasta, L’Autunno dell’iconoclasta, Levante, Bari, 1987.

(in Copertina un’opera di Giuseppe Tangaro).

Giuseppe Lagrasta, Autobiografia di un clown, Manni, Lecce, 2005

(in Copertina un’opera di Giuseppe Tangaro).

Elio Vittorini, Città del Mondo, Torino, Einaudi,1969.

Italo Calvino,Le Città invisibili, Torino, Einaudi, 1972.

Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Torino, Einaudi,1969.

Giorgio De Chirico, Pictor Optimus, Roma, Carte Segrete,1992.

Elenco delle Opere:

Giuseppe Tangaro, Evoluzione, 1993 (gesso colorato, b. cm. 35, p. cm. 30, h. cm. 66).

giovedì 20 Gennaio 2022

(modifica il 11 Aprile 2022, 9:18)

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Carmela Pappalardo
Carmela Pappalardo
2 anni fa

Rimarrai per sempre nel mio cuore caro Maestro…ogni qualvolta che dipingo trasporto sulle mie tele un po’ della poesia che tu mi hai insegnato! Manchi tanto!

Mina
Mina
3 mesi fa

Bellissimo articolo