Cultura

​Il delitto Porro: dalla parte nostra

Vincenzo D'Avanzo
Ricorre oggi l'anniversario della morte delle sorelle andriesi. C'è una storia ancora da scrivere, manca ancora una ricostruzione sociologica dell'evento
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Ricorre oggi l’anniversario della morte delle sorelle Porro. C’è una storia ancora da scrivere. Le notizie che abbiamo sono ancora condizionate dalla emotività degli eventi. Non parlo ovviamente della sequela dei fatti: questi a grandi linee sono ormai chiari. Manca ancora una ricostruzione sociologica dell’evento.

Nei due racconti che ho proposto io non ho voluto fare un saggio storico anche se tutti i riferimenti ai fatti di quell’anno sono rigorosamente documentati. Il mio è stato un tentativo, spero gradevole,di portare la conoscenza a livello popolare per far si che anche la gente comuneprenda coscienza della sua storia, degli eroi che l’hanno contrassegnata e, persino, degli errori compiuti in buona o mala fede. La mamma che legge il racconto alla figlia tredicenne, la signora che ricorda il racconto della nonna, la testimonianza di chi in qualche modo ha vissuto quegli eventi resteranno nella mia memoria perché certificano che ci sono nel nostro popolo i sentimenti utili per trasformare la città da un insieme di case in un aggregato umano. Ecco: ho cercato di raccogliere dal passato la sfida per l’oggi e mi riferisco soprattutto ai giovani, frastornati oggi datanti maestri occasionali che li rendono incapaci di costruire in autonomia il loro futuro.

Il sangue di quelle pie donne, che avevano fatto dell’aiuto agli altri uno stile di vita, ha dato frutti copiosi alla città: con gli occhi stupiti per tanta crudeltà esse hanno perdonato e quel perdono è stato il collante per la pacificazione sociale. La loro morte atroce mise in crisi gli stessi aguzzini, costrinsero le autorità comunali e nazionali a risolvere alla radice le problematiche annose del nostro vivere civile, fece emergere personalità di grande fascino che faranno la fortuna della nostra città al momento della ricostruzione.

Nella vicenda c’erano tutti gli elementi per una battaglia politica: non dimentichiamo che mancano ancora due anni al 1948 quando la politica si stabilizzò. Nel 1946 c’era ancora chi sperava di poter sabotare la nascente democrazia per imporre una diversa esperienza totalitaria. E’ nelle crisi epocali che sorgono i grandi uomini. La presenza in tribunale di due grandi avvocati (Jannuzzi e Sforza)favorirono la scelta di depurare il processo della politica per lanciare un messaggio: per quanto possa essere dura la lotta politica la violenza è sempre una scelta personale: nessuna copertura al delitto. Lezione ancora attuale. Certo qualcuno può dire che la sentenza fece torto alla verità. La verità non esiste, è solo quella che si vuole o si può far emergere. Non a caso duemila anni fa Qualcuno disse che Lui era la verità. Quelle degli uomini sono solo un azzardo. Il dato oggettivo è che quella scelta ci regalò la pace sociale e due uomini che poi, da sponde opposte, faranno la Storia. Jannuzzi ci prenderà per mano trascinandoci fuori dalle secche del dopoguerra, Sforza contribuirà in qualche modo dalla opposizione. Fu un grande dopoguerra il nostro con uomini capaci di dedicarsi generosamente al servizio della collettività.

Parlando con gli uomini di quel tempo (a cominciare da Riccardo, il protagonista del racconto di qualche settimana fa) ho saputo che Onofrio Jannuzzi prima di diventare il nostro politico più celebre diede una testimonianza che nella storia ha pochi precedenti. Nel racconto di domenica scorsa il bracciante si chiedeva perché la proprietà terriera era in poche mani determinando la fame degli altri. Immagino che la stessa domanda abbia mandato in confusione la mente di Jannuzzi fino a portarlo a decidere di sminuzzare le sue proprietà per creare la piccola proprietà contadina (alcuni l’ebbero gratisaltri a prezzo di favore) e da legislatore portò il problema in Parlamento facendo varare la legge degli sgravi fiscali in vigore ancora oggi.

La storia insegna ma solo se la conosciamo. Fu il frutto più bello di quella tormenta umana e sociale. La predicazione intensa di mons. Di Donna, fatta di parole e soprattutto di fatti, fu un valore aggiunto di grande efficacia. Emersero personalità forti che assunsero la guida: Jannuzzi, Sforza,Don Zingaro, mons. Doria, Marano ecc. Ache la classe bracciantile seppe esprimere uomini della statura di Peppino Di Vittorio o personaggi della caratura di Natale Di Molfetta. La classe dirigente nasce in mezzo al popolo che ne fa la selezione. La sordità di chi sta bene nei confronti di chi sta male: non regge a lungo. Per guidare un popolo servono grandi uomini capaci di trascinare il popolo. Una classe dirigente che si fa trascinare dagli umori del popolo non porta da nessuna parte.

Ora, se mi perdonate il riferimento all’esito elettorale, bisogna ripartire dal basso ricreando tutta intera la filiera dirigenziale. Quella entrata in crisi era una classe dirigente priva di una visione di insieme, debole di competenze e carente di passione civica, più attenta al particolare che non alla comunità,preoccupata più di conservare il proprio potere che di guidare il Paese verso percorsi di crescita e di sviluppo. Il popolo se n’è accorto e ha buttato le carte in aria. Quando la massa si muove raramente è riconducibile ai criteri di razionalità. Tuttavia non è irragionevole il fragoroso segnale che ha inviato: il sud, dimenticato da Roma, ha sparigliato i giochi. Io mi auguro che gli eletti abbiano una sufficiente dose di umiltà per capire che domenica scorsa nessuno ha vinto per meriti propri, che dietro quel segno di croce c’era rabbia non tanto determinata da bisogni materiali (per fortuna la fame di un tempo è, almeno parzialmente, scomparsa) ma dalla preoccupazione per il futuro. Essere costretti a votare per il meno peggio è una sconfitta per tutti. La mia generazione il futuro lo ha sognato e in qualche modo lo ha realizzato. I giovani di oggi sono bombardati da modelli dove non c’è posto per il loro sogno.

Il nuovo Parlamento faccia le leggi che vuole (soprattutto se le legga prima), ma sappiano i nuovi parlamentari che si entra nella Storia solo se si è capaci di suscitare una speranza: Moro, Pertini, Berlinguer, Kennedy, Luther King, Giovanni Paolo II, Madre Teresa ecc. non entreranno nei libri di Storia per le opere realizzate ma per le speranze che seppero suscitare. Prendere sul serio il segnale popolare di domenica scorsa è un obbligo per tutti. Il 7 marzo non è un episodio archiviato. Può essere un pericolo immanente.

E che il buon Dio ci aiuti.

mercoledì 7 Marzo 2018

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