Cultura

Antonio Nicolamarino, l’operaio della politica

Vincenzo D'Avanzo
Per quarant'anni dopo la guerra segnò da protagonista la vicenda politica andriese. Da combattente si trasformò in paciere cercando il dialogo con la parte comunista
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Quando la guerra si fece imminente i profeti pensarono al domani. Occorreva preparare una nuova classe dirigente. Ad Andria questo ruolo lo svolse un sacerdote salesiano capitato in città come direttore dell’oratorio. Il terreno era peraltro fertile perché era ancora vivo il ruolo di un altro sacerdote di pregio, questa volta andriese puro sangue, quel don Riccardo Lotti tra i fondatori del partito popolare insieme a don Sturzo, animatore dell’impegno politico dei cattolici. Questo consentì che dopo l’armistizio del 1943 un gruppo di giovani cattolici si facessero avanti per governare la nuova situazione, soprattutto perché la sfida non era minore di quella contro il fascismo: difendere la Chiesa e la riconquistata libertà dall’attacco egemone del comunismo. La contrapposizione tra i due fronti era virulenta. Nel campo cattolico c’era la necessità di difendere i valori della religione, nel campo comunista c’era il tentativo di prendere il potere con tutti i mezzi per porre al centro della politica la rabbia dei poveri.

Negli anni della guerra molto impegnato tra i cattolici era don Riccardo Cavaliere, il quale aveva organizzato un gruppo di giovani cattolici molto decisi a fronteggiare i comunisti anche non disdegnando le mani. La sera, dopo le riunioni di formazione e organizzazione i giovani accompagnavano don Riccardo alla casa. Il sacerdote era stato fatto oggetto di minacce. La guerra non era ancora finita e molte armi circolavano in città. Lo scioglimento disordinato dell’esercito e il ritorno a casa dei soldati senza aver consegnato le armi rendeva pericolosa ogni situazione conflittuale. Il 4 giugno del 1944 tra cattolici e comunisti c’era stato uno scambio violento di accuse reciproche per cui la sera un folto gruppo di giovani decise di accompagnare don Riccardo alla casa. E fu una fortuna. Infatti i comunisti attaccarono il gruppo il quale non si perse d’animo e rispose con decisione. A proteggere don Riccardo si mise un giovane operaio allora sconosciuto. Aveva la stessa altezza del sacerdote ma era molto più robusto: con il suo corpo copriva interamente quello di don Riccardo, che infatti si salvò mentre l’operaio si prese una coltellata che lo ferì gravemente: quella sera il nome di Antonio Nicolamarino passò di bocca in bocca per tutta la città. Nessuno si sorprese quindi quando a fine maggio del 1945 fu ancora lui protagonista della protezione di mons. Di Donna. Qualche giorno prima lo stesso vescovo dovette sgattaiolare dalla porta della sacrestia della chiesa dell’Annunziata perché sotto attacco dei comunisti in quanto il santo vescovo si era rifiutato di cresimare i bimbi i cui genitori o padrini ostentavano il fazzoletto rosso nel taschino della giacca. Qualche giorno dopo il Vescovo si recò per la cresima nella chiesa di sant’Agostino, ma questa volta i giovani cattolici non si fecero trovare impreparati. E Antonio Nicolamarino ancora una volta fu protagonista piazzandosi sul campanile della chiesa per prevenire ogni movimento sospetto.

Questi attacchi proditori per i comunisti furono controproducenti: i giovani cattolici preparati da don Villani e stimolati da don Cavaliere si iscrissero in massa alla democrazia cristiana: era il dieci giugno del 1944, quando Antonio Nicolamarino cominciò la sua avventura nella DC della quale fu protagonista per circa cinquant’anni, mettendo in evidenza le sue doti migliori: la generosità nell’impegno, la lealtà verso gli amici e una certa dose di furbizia manovriera che gli consentiva di svicolare nella complicata azione politica.

Queste doti si rivelarono utilissime quando capitò la prima grave crisi politico-amministrativa del comune democraticamente eletto. L’amministrazione comunista (sindaco Vincenzo Mucci) scivolò sulla distribuzione dei pacchi alimentari: era il 1952 e ad Andria la fame era tanta. Dall’America arrivavano pacchi di cibarie essenziali e della distribuzione si occupavano la POA, struttura privatistica della Chiesa, e il comune per la parte politica. La politica da che mondo è mondo ha un tarlo devastante: l’amicizia. Infatti i politici lavorano per il popolo ma gli amici qualche volta vengono prima e sono proprio gli amici la palla al piede dei politici: capiterà anche nel futuro quando per cambiare tutto si piazzarono gli amici dappertutto, anche se ignoranti e l’ignoranza va sempre a braccetto con l’arroganza. Tanto per cambiare.

La democrazia cristiana alla opposizione si divise: alcuni volevano andare subito al voto per sfruttare la crisi a proprio favore, altri invece aborrivano questa soluzione perché comportava una gestione commissariale ed era recente la esperienza dei podestà. Il sen. Jannuzzi e Antonio Nicolamarino furono per risolvere la crisi con una gestione unitaria. Nasceva una amministrazione di compromesso storico; la dc prestò ai comunisti tre suoi assessori: Giovanni Bitetto, Vincenzo Di Bari e Antonio Nicolamarino con un patto di reciproca lealtà, ovvero, nessuno avrebbe operato per il proprio tornaconto elettorale. Capiterà anche nel futuro quando due forze opposte si troveranno insieme a governare, ma non ebbero la sensibilità di fare analogo patto. Soprattutto di osservarlo come avvenne allora.

Antonio era un operaio che forse non aveva grande cultura ma conosceva benissimo la città e i suoi abitanti e i loro problemi. Lo dimostrò soprattutto quando durante l’amministrazione Marano ebbe la cura di Montegrosso: quel borgo rinacque e soprattutto furono portati i servizi come la scuola e la farmacia.

Diceva il preside prof. Girolamo Fuzio: “La politica è un sentimento che è regolamentato come un sistema di vita con la propria ragione. Il tempo e lo spazio invece costringono l’uomo ad accettare le regole della realtà”. Ecco Antonio non era un grande comunicatore ma ugualmente riusciva a trascinare masse di lavoratori grazie alla sua capacità di interpretare il tempo e lo spazio: l’associazione ACLI che egli guidò a lungo ne fu la dimostrazione. Lì, in quella associazione in piazza Catuma attraverso i soci raccoglieva le istanze della gente e le portava dall’altro lato della piazza nella sede della DC.

Lo dimostrò soprattutto all’inizio degli anni settanta con altri responsabili del mondo cattolico (in particolare Fedele D’Atteo e Vincenzo Cannone) quando si tentò una prima operazione di rinnovamento della Democrazia Cristiana. Fu una esperienza straordinaria guidata proprio da Antonio che divenne segretario politico. Una nuova generazione si affacciò alla politica destinata a lasciare il segno. Fu durante quella esperienza che nacque e si sviluppò un movimento giovanile straordinario per il numero di aderenti e per la qualità dell’impegno. A quel movimento Antonio seppe dare spazio destinando ad esso anche una sede autonoma e soprattutto una capacità di iniziativa che culminò con la esperienza entusiasmante del referendum sul divorzio, quando quei giovani scesero personalmente per strada a difendere l’istituto della famiglia. Andria fu uno dei pochi grandi comuni d’Italia dove vinse il fronte del “no” al divorzio. In quella circostanza Antonio (con il narratore) finì davanti al Tribunale di Roma a causa di manifesti che i giovani inesperti affiggevano anche fuori degli spazi canonici.

Molti furono i fidanzamenti in quell’atmosfera di entusiasmo e tanti giunsero al matrimonio. Tra questi va ricordato anche il figlio di Antonio, lo sfortunato Michele che con la fidanzata fu molto attivo.

Come succede spesso in politica, dopo ogni tentativo di rinnovamento compare sempre la restaurazione. Tuttavia di Antonio mi piace ricordare il sorriso sincero. Anche quando obbediva alle contorsioni della politica c’era un modo per capire il suo vero sentimento: guardarlo diritto negli occhi e subito dopo le labbra. Sia gli occhi che le labbra rispondevano al cuore anche quando la ragione lo costringeva a inseguire lo spazio e il tempo.

Antonio fu un operaio della politica. Per quarant’anni dopo la guerra segnò da protagonista la vicenda politica andriese. Da combattente si trasformò in paciere cercando il dialogo con la parte comunista. Insieme ad altri operai accompagnò Andria fuori dalle secche della miseria. Altri vestiranno le funzioni di “ape regina”, ma noi sappiamo che sono le api operaie a produrre il miele. La loro azione generosa resta nella vita della gente al di là della memoria storica. Ricordarlo, in questo mese dedicato ai morti, è un dovere.

domenica 11 Novembre 2018

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