Cultura

L’oratorio salesiano e il volto di Dio

Vincenzo D'Avanzo
La storia di due gemelli, Francesca ed Enrico
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Le statistiche dicono tutta la verità? Non sempre, per non dire quasi mai. Quando si parla dei morti della seconda guerra mondiale, poi, i numeri sono sempre discutibili. La morte di Filomena nel 1947 può essere considerata vittima della seconda guerra mondiale? Filomena aveva partorito due gemelli nel 1940: era felice perché i due piccoli sembravano degli angioletti e perché era riuscita a strappare dal marito la decisione di mettere alla femminuccia il nome di sua madre (Francesca) mentre quello del maschietto toccava di rigore al padre del marito (Enrico). Per tradizione anche la femmina toccava al marito, essendo però nati insieme maschio e femmina il marito concesse questo privilegio alla moglie, pur sapendo che sua madre avrebbe “appeso il muso”. L’amore tra i due sposi e la bellezza dei due piccoli fecero superare ogni problema.

La famiglia viveva nell’agiatezza perché il padre di Filomena era stato un fantino molto apprezzato prima della guerra nelle corse di cavalli che si svolgevano a “u staccoit”. In verità, l’ippodromo, lungo 1300 metri all’inizio del secolo si chiamava “lo specchio”, poi prese il sopravvento il termine dialettale quando lo stesso cominciava ad andare in disuso. Ad Andria si svolgevano gare importanti e anche i premi erano consistenti a seconda se il torneo fosse intitolato al Castello (il più importante), alla Puglia (l’intermedio), o ad Andria (il più povero). Le gare si svolgevano anche in occasione della festa di san Riccardo a settembre, quando confluivano ad Andria molti signorotti dai paesi vicini, che lasciavano molti soldi tra scommesse, trattorie e negozi vari.

Filomena, sposandosi, aveva voluto portarsi anche la divisa del fantino che tanta fortuna aveva portato alla famiglia. I proventi di quelle corse sommati alle giornate di lavoro presso un’azienda agricola di tutto rispetto avevano consentito un tenore di vita agiato. Tutto sembrava andare per il meglio quando un giorno bussarono alla casa due camicie nere per notificare la chiamata alle armi del maritino: erano sposati da due anni in quel maledetto 1941. Il padre consigliò al figlio di tirarsi qualche dente per provare a sottrarsi all’obbligo militare, ma Enrico era fiducioso nella promessa di Mussolini che la guerra sarebbe durata poco e rischi grossi non dovevano esserci perché il lavoro sporco l’avrebbero fatto i tedeschi. Ma non fu così. Dalla Grecia Enrico non tornò più e Filomena si trovò da sola a crescere i due bambini che il padre aveva visto solo in fasce e che ora invece sgambettavano molto bene.

Il dolore fu immenso, le preoccupazioni fecero il resto: Filomena si ammalò di cuore e nel 1947 appunto non resse più, lasciando soli quei due ragazzini di sette anni che ancora sembravano due angeli perchè la mamma curava di persona i riccioli che contornavano i visi dolcissimi. Filomena va considerata tra le vittime della guerra?

Dopo il primo momento di panico, la sorella di Filomena pregò il marito di adottare i due piccoli. Il marito all’inizio fece resistenza: avevano già tre figli grandi e altre due bocche da sfamare avrebbero rappresentato un problema. Ma la moglie non desistette: “i nostri sono già grandi e fra poco si sposeranno e noi rimarremo soli. Questi due piccoli possono allietare le nostre giornate”. Alla fine il marito si convinse e i due piccoli, che già erano stati accolti in casa, divennero a tutti gli effetti loro figli. I tre grandi accolsero con gioia i due piccoli che si videro al centro dell’attenzione di tutti: giocavano felici insieme. La famiglia non era agiata come quella dei genitori naturali, ma il calore umano fa più del vil denaro.

I due gemelli crescono sani e anche belli, tanto che, appena adolescente, Francesca era al centro dell’attenzione degli amici e il fratello dovette trasformarsi in guardia del corpo per proteggere la virtù della sorella. Per fortuna entrambi frequentavano ambienti sani: la ragazza frequentava la casa di una sarta per imparare a cucire, Enrico la bottega di un calzolaio e tutti e due nel tempo libero frequentavano l’oratorio salesiano. Pur appartenendo alla parrocchia dell’Altomare, in quegli anni l’oratorio stava diventando il punto di riferimento dei giovani cattolici e non, grazie anche alle molteplici iniziative che si intraprendevano: era l’epoca di don Nitti, per fare un nome ancora caro a tanti andriesi della mia età. Le parrocchie non disponevano di spazi educativi e ricreativi. Per cui l’oratorio, realizzato grazie alla donazione delle sorelle Porro, che anche per questo furono trucidate, diventò punto di riferimento essenziale per la gioventù che lì si riuniva per fare sport, amicizia, cultura e, soprattutto, formazione. Fu il periodo in cui proprio l’oratorio fornì alla città la nuova classe dirigente.

Tutte le attività si concludevano con la manifestazione finale alla fine dell’anno sociale che normalmente coincideva con la fine dell’anno scolastico. Per questa manifestazione Francesca si stava preparando da tempo perché ormai era una signorinella ed era il momento di farsi ammirare dai coetanei. Aveva una bella voce e spesso faceva la solista nel coro. Enrico era più sbrigativo: pensava solo a giocare, anche se non perdeva di vista la sorella.

Tuttavia. una decina di giorni prima della manifestazione Enrico si fece tentare dagli amici ad andare a fare il primo bagno a Trani. Era una splendida domenica di maggio e in quattro partirono alla volta della città vicina a piedi. Fortunati se qualche volta riuscivano a guadagnare uno strappo da qualche traino di passaggio. Giunti a Colonna cominciarono ad entrare e uscire dal mare, felici di esserci. Solo che poi cominciarono le gare, tuffandosi da uno scoglio. Sembra andare tutto per il meglio e i ragazzi diventano sempre più audaci. Il demonio si presenta sotto forma di distrazione. Dovevano lanciarsi con un solo piede per terra, ma Enrico scivola battendo la testa e finendo in acqua. Ci fu panico tra gli amici, nessuno dei quali aveva eccessiva confidenza con il mare. Enrico gridava che fosse aiutato ma nessuno era in grado di aiutarlo. Per fortuna uno degli amici scappò a chiedere aiuto e due uomini accorsero giusto in tempo prima che la corrente lo trasportasse lontano. Gli fecero vomitare tutta l’acqua che aveva bevuto, recuperarono un traino e lo portarono al pronto soccorso perché aveva problemi alla gamba che non riusciva a muovere agevolmente e perdeva sangue dalle escoriazioni. Qui lo fasciarono e i medici imposero 15 giorni di immobilismo assoluto. La sorella lo volle a casa per occuparsene personalmente e i fratelli adottivi riuscirono a trovare una delle poche autovetture in circolazione e andarono a prendere Enrico da Trani e lo portarono a casa. Tranquillizzatasi la sorella pensò bene di andare a ringraziare la Madonna dell’Altomare. È vero, Enrico non l’aveva invocata nel momento della disgrazia, ma entrambi i fratelli erano convinti che nel salvataggio la Madonna dell’Altomare c’entrava: la pregavano ogni giorno per cui, diceva la sorella, avevano un credito da parte della Madonna. Per questo non ebbero dubbi quando qualcuno propose di lasciare un ex voto al santuario. La Madonna non fa attenzione a chi la invoca a proposito o a sproposito, cura di più chi la segue con costanza.

Enrico era giovane per cui la ripresa fu rapida ma la gamba doveva stare immobile ancora, ragion per cui Francesca rischiava di dover rinunciare alla presenza del fratello alla manifestazione. La preparazione era continuata perché il maestro l’andava a prendere ogni giorno da casa. Ma lei ci teneva alla presenza del fratello. Anche il fratello ci voleva essere, motivo per il quale due giorni prima mentre era solo in casa scese dal letto per vedere se la gamba reggeva. Resse. Convinse i fratellastri ad accompagnarlo al teatro Astra dove si sarebbe svolta la manifestazione, ma senza dirlo alla sorella: voleva farle una sorpresa. Quando la domenica pomeriggio Francesca andò a salutarla per andare a cantare, Enrico si mostrò dispiaciuto tanto che la sorella si mise a piangere. Ebbe la tentazione di non andarci, ma la sua assenza avrebbe compromesso la riuscita dell’intera manifestazione. Appena andata via la sorella Enrico si vestì e i due fratellastri lo portarono al teatro e quando apparve Francesca lui cominciò a gesticolare per fasi notare. Francesca lo vide, sorrise e lo salutò con la mano. Appena finito di cantare scappò ad abbracciare il fratello che le sussurrò nell’orecchio: sei stata bravissima. Francesca di rimando: ho cantato per te. A casa festeggiarono tutti.

Dopo qualche anno ancora entrambi si sposarono. Decisero di andare ad abitare uno vicino all’altra per aiutarsi a vicenda. Diceva un saggio: “ho cercato la mia anima, ma trovavo difficoltà a vederla. Ho cercato il mio Dio, ma il mio Dio a volte non lo sentivo. Ho cercato mio fratello e l’ho trovato con le braccia aperte. Aveva il volto di Dio” (Matteo, 25,40). Qualcuno ricorderà quella cartolina di san Giovanni Bosco che distribuivano allora all’oratorio: la guardavi in un punto per qualche secondo e poi rivedevi san Bosco sulla parete. Ecco, chi lo fissa spesso poi lo vede negli altri.

domenica 29 Settembre 2019

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