Cultura

Vivere per non morire mai

Vincenzo D'Avanzo
Ci sono uomini che lavorano per la propria famiglia ma anche per la propria città. Domenico Leone è stato uno di questi
scrivi un commento 26172

Era una domenica di fine novembre, la pioggia battente aveva caratterizzato l’intera giornata: “che facciamo stasera?” Si interrogarono i ragazzi. “Bisogna trovare qualche festicciola in famiglia dove intrufolarsi per passare la serata”. Un amico di Domenico è diretto alla casa di una sua zia dove si è organizzata una festicciola per consumare quanto raccolto andando a cantare “addie, addie all’urt”, raccolto che quell’anno era stato particolarmente abbondante. Aggregarsi fu un gioco da ragazzi. Domenico era con un altro amico e la pioggia non proponeva alternative. Una volta dentro e fatte le presentazioni e un po’ di chiacchiere generiche il giradischi attacca con “let’s twist again” che era la maniera di fare riscaldamento all’inizio della festa e soprattutto per farsi notare. Nel frattempo i papà delle ragazze (o i fratelli) prendevano posizione per tenere sotto controllo la situazione. Infatti dopo una decina di minuti di ginnastica scatenata ecco che dal giradischi parte il primo lento. Momento di imbarazzo, tutti si guardano intorno per vedere chi cominciava a prendere coppia. Durante i balli movimentati si era messa in evidenza la figlia di casa, Pasquina, una bella ragazza che aveva appena superato l’adolescenza. Il rito prevedeva che per poter invitare una ragazza a ballare bisognava chiedere il permesso al padre. Ci provò Domenico ma l’esito fu negativo perché Pasquina era già in pista proprio con il suo amico, cioè il cugino. Così al secondo giro e al terzo. Per fortuna Domenico capì che quella coppia era forzosa perché il cugino ballava con Pasquina ma guardava un’altra ragazza. Evidentemente lo zio lo aveva pregato di tenere occupata la figlia onde evitare situazioni imbarazzanti con altri ragazzi.

La volontà congiunta del cugino che voleva liberarsi dal vincolo e di Domenico che voleva occupare il posto creò la situazione per cui Domenico e Pasquina potettero ballare finalmente insieme. Un disco movimentato fece scombinare le coppie e subito dopo Domenico si fiondò a prendere Pasquina approfittando che il padre si era momentaneamente allontanato. Prima prudentemente mantennero una certa distanza ma poi lentamente si avvicinarono sempre di più fino a quando il padre si avvicinò e richiamò il ragazzo: “voit cha la mnenn ià pcnonn, moue la spizz” (guarda che la ragazza è piccola, ora quasi la spezzi). In effetti Pasquina era di parecchio più piccola di Domenico, ma questi non disarmò e alla fine riuscì a strappare dal padre di Pasquina un: “uagnà fè l’omn”, che voleva dire fatti vedere solo se sei disponibile a fare la persona seria. Sfondava una porta aperta, Domenico lo era sempre stato.

La sua era stata una vita difficile, come per tanti allora a cavallo della guerra, vissuta tuttavia intensamente. Basti pensare a quanti mestieri aveva fatto, avendo cominciato a lavorare sin da piccolo, assillato da un solo obiettivo: non morire mai, che è forse il desiderio massimo che ciascuno si porta dentro. Un giorno con un amico rientrava a casa dopo una giornata di lavoro. All’altezza di Corato incontra un incidente abbastanza grave: il poveraccio era incastrato tra le lamiere al posto di guida del camion. I curiosi si affannavano per aiutare ma poi si ritiravano per paura. Quando sopraggiunse la gazzella dei carabinieri l’amico gli disse di proseguire. Ma Domenico scese d’impeto, salì sul tettuccio del camion che stava andando a fuoco e sporgendosi con un cavo d’acciaio riuscì a tirare fuori il malcapitato. Era un modo per non morire mai e la generosità diventò parte del suo carattere, quella generosità che costrinse al rispetto chiunque avrebbe avuto contatto con lui. Lo possono raccontare i suoi collaboratori (non dipendenti) che trattava come familiari. Tutto egli imparato dal maestro Caricati quando ancora era piccoletto e sperimentava già i primi lavori, motivo per il quale non poteva frequentare sempre la scuola. Il maestro andò alla casa di Domenico dove il padre gli spiegò che la situazione familiare era così difficile che anche i lavoretti del piccolo erano indispensabili. Il maestro capì la situazione e, accarezzando il moccioso, lo invitò ad andarlo a trovare a casa quando non poteva andare a scuola: lo aiutava a studiare per non dover morire mai entrambi. Questo gesto gli rimase impresso per tutta la vita.

Fu proprio da piccolo che fece anche il contrabbandiere. Un giorno si presenta alla casa un signore vestito da carabiniere con due valigie piene di cartine per le sigarette. Allora le sigarette erano rare, la maggior parte dei contadini usava tabacco sfuso o rimasugli di cicche raccattate in qualche modo. Il tabacco in modica quantità veniva inserito a mano in cartine che a volte erano addirittura brandelli di giornale: u spnidd. Il “carabiniere” propose al padre di Domenico di fare l’affare, ma questi espresse un netto rifiuto: “poveri ma onesti”.

Il piccolo Domenico volle però rendersi utile. La sfida era duplice: fare un po’ di soldi e ingannare le guardie che allora era uno dei mezzi per dimostrare l’antifascismo, cosa che aveva imparato dal padre sin da quando la mamma gli dava il latte. Il regime aveva vietato severamente il contrabbando. Per questo si offrì egli stesso di fare quel lavoro. Eccolo a piazza Porta la barra con un mazzetto di cartine nella speranza che i contadini si approvvigionassero prima di andare a stè four. Ma nessuno si avvicinava proprio per paura, anche quando il moccioso alzava la voce: cartine, cartine. A un certo momento il fratello di Domenico si fece avanti per comprare le cartine: fu allora che tutti i contadini si avvicinarono per fare la riserva, il prezzo era conveniente e in poco tempo le cartine finirono. La fame stimola la mente. Così cominciò la vita lavorativa di Domenico che sfiorò anche la politica militando nella CGIL nell’immediato dopoguerra, dove imparò che i lavoratori non erano merce ma soggetti di diritti. Intanto si guadagnava da vivere facendo il cantante ai banchetti nuziali o alle feste fatte in casa.

A dare una svolta alla sua vita furono i tumulti e la violenza che caratterizzarono i primi anni del dopoguerra andriese. Mimmo non poteva tollerare quei comportamenti violenti e decise di dedicarsi interamente al suo lavoro, anche se il primo nel quale si imbattette fu u scazzapreit: frantumare le pietre per fare il manto stradale. Grazie ai cantieri di lavoro adottati in Andria la città potette annoverare i migliori scazzapreit della provincia e quindi venivano chiamati anche fuori Andria. E tuttavia la vita era dura perché gli stradini venivano trattati come schiavi e quando qualcuno si faceva male e usciva il sangue il padrone strappava un lembo di camicia, vi orinava sopra e l’avvolgeva al dito: quella era la cura. Situazione questa che a Domenico non piaceva affatto. Da grande tratterà bene i dipendenti perché aveva provato sulla sua carne viva il maltrattamento. La tentazione di emigrare si face pressante, ma egli seppe resistere, legato com’era alla famiglia.

Fu allora che insieme ai fratelli decise di fare una cooperativa finalizzata alla manutenzione e alla sistemazione stradale. Riuscirono a prendere anche alcune commesse pubbliche. Ma quando tentarono il passo più lungo della gamba caddero in una imboscata. La cooperativa riuscì a prendere un consistente appalto nel Molise: realizzò un intero villaggio con strade, fogne, case, chiese ecc. Con gli enti pubblici i rapporti sono sempre complessi e la difficoltà maggiore è nei pagamenti: i ritardi possono essere fatali, soprattutto per chi sta all’inizio. Quando un ente pubblico non paga i primi a saperlo sono gli usurai. E infatti furono proprio costoro a farsi avanti per offrire la loro “generosa” collaborazione. Ma generosa per chi? Come al solito gli usurai si arricchirono mentre i componenti la cooperativa furono ridotti sul lastrico con il sequestro anche delle proprie abitazioni. “Tu trai denaro dalle lacrime, tu strozzi chi è rimasto nudo e percuoti chi ha fame” (Basilio Magno). Una umiliazione che Domenico e i fratelli (soprattutto le loro mogli) vissero con dignità e la voglia di ricominciare daccapo, ma con una variante: dare maggiore spazio alla vita di relazione. Affannarsi nel solo lavoro usura anche la propria umanità. E fu proprio questo cambiamento di stile che portò Domenico all’incontro con Pasquina.

Con questo percorso di vita e di lavoro nessuna meraviglia se quando Domenico si presenta al suocero per chiedere la mano della figlia la risposta spiazzò lo stesso ragazzo: “Da oggi sei il benvenuto in mezzo a noi, considerati un componente della famiglia”. Si era informato ben bene.

Domenico mantenne fede all’impegno dedicandosi interamente alla fidanzata e al lavoro, facendo altre esperienze a cominciare dal camionista, percorrendo un numero enorme di chilometri e correndo svariati pericoli. Fu la fatica continua e la capacità di risparmiare che avviarono la vita di Domenico verso il successo, che diventò reale quando riuscì a ricostituire con il fratello una nuova azienda innovativa che cominciò con gli impianti di calcestruzzo fino a diventare esperti nei lavori stradali, prendendo appalti spesso fuori Andria ma non nella sua città. Di qui il sogno di lasciare il segno anche nella sua Andria. Un sogno che manifestò al sindaco verso la fine del 1986: “ad Andria c’è una ditta che vince tutto (si riferiva ai lavori stradali), posso chiedere che finalmente tutti possiamo partecipare? Non le chiedo di farmi vincere ma di metterci in condizione di partecipare alla pari”. Il sindaco, impressionato da questa anomala richiesta rispose: “Quello che dici appartiene al passato, il presente prevede che si facciano gare vere”. E così fu: fin quando rimase a palazzo san Francesco non una gara fu oggetto di critiche di qualsiasi natura. Domenico lo riconobbe e nacque così un rapporto di stima e rispetto reciproco, mentre la ditta in discussione se la legò al dito in attesa di ordire quella che essi stessi chiameranno “una carognata”. Domenico continuò a curare la sua ditta come farebbe un buon padre di famiglia. Il successo non fece mai venir meno l’umiltà nei suoi comportamenti e soprattutto continuò a trattare tutti, compreso i dipendenti, come parte della famiglia. E come buon padre di famiglia seppe avviare i figli al lavoro perché anche loro imparassero a non morire mai. Come uomo lasciò un messaggio d’amore di struggente attualità affidandolo a un bambino nero: “Dio mio chissà se anch’io come gli altri posso pregarTi…. Ma sono sicuro che malgrado il colore della mia pelle anch’io posso fare un presepe mettendo tra tante pecorelle un bambino nero. Le pecorelle non fuggirebbero perché in lui troverebbero la Tua bellezza, il Tuo sorriso, le Tue sofferenze, il Tuo amore”.

Ci sono uomini che lavorano per la propria famiglia ma anche per la propria città. Domenico Leone è stato uno di questi. Questi uomini non muoiono mai.

domenica 1 Dicembre 2019

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Carminio nunzio
Carminio nunzio
4 anni fa

Mest Cicc Lion lo conoscevo

Andrea LEONE
Andrea LEONE
4 anni fa

Vincenzo D’Avanzo sempre un patrimonio di cultura, tradizioni e memorie.
Commovente il ricordo di mio padre.
GRAZIE Vincenzo.
P.S. : il sindaco di cui si parla era lo stesso Vincenzo e confermo
il Suo atteggiamento di legalità’ e trasparenza della Sua sindacatura

Roberto Sabino
Roberto Sabino
4 anni fa

Mi ha insegnato ha vivere con i suoi consigli era come un padre per i suoi dipendenti per la mia famiglia è stato una persona importante

Leonardo roberto
Leonardo roberto
4 anni fa

Confermo alle parole Di Vincenzo D,avanzo sono un ex dipendente di Leone Domenico per noi non era un titolare ma ben si come i suoi discorsi di fine d,anno che noi siamo una famiglia .

Rossella Selvarolo
Rossella Selvarolo
4 anni fa

Emozionate da questo tuffo nel passato, che ha risvegliato in noi commoventi ricordi relativi al certosino lavoro di consulente del lavoro profuso da nostro padre, Giovanni Selvarolo, il quale, con la tenacia che lo ha sempre caratterizzato, ha dato un valido e corposo contributo a che la Ditta Leone Domenico potesse arrivare in alto.
Il nome del signor Domenico è stata parte integrante della nostra vita di ragazze, per quanto nostro padre ci rendesse partecipi del suo operato.
Nicla e Rossella Selvarolo