Cultura

L’arte tradita: in memoria del maestro Giuseppe Tangaro

Vincenzo D'Avanzo
Peppino ci teneva alle sue opere e voleva che Andria ne conservasse memoria: una tela enorme (12 metri quadri) ebbe un successo straordinario a Parigi esposta nel municipio di quella città con altre numerose sue opere
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Era una fredda mattina autunnale: persino l’alba indugiava a farsi viva. Solo il cane sembrava esagitato. Inutile ogni tentativo di farlo dormire ancora. Alla fine mi convinco ad alzarmi per portarlo fuori nel timore che potesse avere una qualche urgenza. Non erano ancora passati i netturbini a prendere il secco. Ecco che a fianco di un paio di bustoni neri (non quelli di ordinanza) trovo qualche quadretto: mi attira l’attenzione il primo che per fortuna aveva l’immagine visibile e capisco subito che si tratta di Tangaro, il nostro concittadino tanto ignorato in Andria quanto apprezzato fuori persino all’estero. Lo presi in mano e mi accorsi che era una tela con la firma (foto). Mi venne una rabbia inimmaginabile, manco avessero offeso una persona di famiglia. Tale era Giuseppe per me avendo stabilito con lui un rapporto molto confidenziale. In virtù di questo rapporto posso testimoniare quanto egli soffrisse per questa disattenzione della sua città verso di lui. Il povero cittadino forse non sapeva nemmeno chi fosse l’autore di quel quadro nonostante la firma in bella mostra. Ma il mio pensiero era andato al rapporto difficilissimo che il pittore ebbe con la sua città, mentre il suo nome girava sui cataloghi e le sue opere andavano in mostra dappertutto.

Cominciò tutto nella primavera del 1987: aprimmo il mese di maggio con una manifestazione dedicata ai Giovani Madonnari: centinaia di ragazzi delle scuole forniti di gessetti colorati riempirono corso Cavour e i viali asfaltati della villa comunale. Tutti a dipingere per terra: il comune di Terlizzi ci mandò un sacco di fioriere per abbellire la scenografia. L’organizzazione fu affidata al Centro turistico giovanile di Mimina Lorusso. Per la giuria chiamammo i pittori locali tra cui appunto Giuseppe Tangaro, la figlia di Conversano e altri. Fu proprio Peppino a chiedermi se potevano esibirsi anche loro e io, d’intesa con l’amministrazione dell’ospedale, misi a disposizione il muro esterno su via duca di Genova. Si impegnarono tutti e in particolare il maestro Tangaro esagerò realizzando un affresco grandioso di una bellezza straordinaria. Fu quella una stagione in cui l’arte e la cultura diventarono protagoniste. Ma come tutte le stagioni anche quella terminò e si pose il problema di salvare quei capolavori, che in altre città sarebbero stati mirabile richiamo turistico. Nulla da fare. Peppino ogni tanto si armava di colori e pennelli per andare a rifare qualche tratto deturpato dal tempo o dalla incuria di quella sua creatura. Addirittura pregò una dirimpettaia perché ospitasse sul balcone un faro per illuminare quel capolavoro. Capii che ci teneva tantissimo. Da allora ho invitato tutte le amministrazioni a intervenire per proteggere l’opera del suo figlio illustre (fuori), una volta firmarono la petizione anche altri ex sindaci. Non solo nulla è mai accaduto ma non si è riusciti nemmeno a eliminare i tabelloni pubblicitari: la moneta vale più dell’arte. Persino il figlio si era offerto una volta di restaurare l’affresco purchè fosse protetto: inutilmente.

Peppino ci teneva alle sue opere e voleva che Andria ne conservasse memoria: una tela enorme (12 metri quadri) ebbe un successo straordinario a Parigi esposta nel municipio di quella città con altre numerose sue opere. Fu la consacrazione internazionale del nostro artista. “Uomomachia” era il suo titolo: un tentativo di miscelare la sua cultura locale con la migliore espressione europea (a cominciare da Picasso, per fare un esempio): quell’olio su tela raccontava della mitica avventura dell’uomo dalla bestia feroce al tentativo di diventare uomo. Quando la espose a Bari mi invitò ad andare a visitarla (non potetti andarci) esprimendo il desiderio che fosse acquisito dal comune di Andria a memoria imperitura del suo figlio illustre. A modico prezzo disse, ma io capii che nemmeno quello a lui interessava. Andria ha opere d’arte che possono riempire un museo laico (oltre quello diocesano), ha avuto e ha ancora pittori di sicuro valore che potrebbero contribuire a realizzarlo. Ma sembra che l’arte non interessi più di tanto. Spero che la nuova amministrazione faccia bene i conti e comprenda quanto valore in più potrebbe aggiungersi al reiterato impegno di portare in Andria i visitatori di Castel del Monte.

La volatilità dell’arte di Tangaro nei rapporti con la città sembra segnata nel suo destino: parte proprio dalla sua opera più celebre: la bellissima statua della Madonna dei Miracoli realizzata in piazza Catuma con la neve del 1956. Nessuno poteva sperare che essa durasse nel tempo: sapeva che si sarebbe sciolta al sole, eppure ci mise un impegno straordinario che era passione artistica ma anche devozione alla Patrona degli andriesi. Ebbe in quella occasione come aiuto Carmine Conversano, valente artista anche lui, forse più fortunato in Andria perché si dedicò a dipingere o affrescare temi religiosi, come i grandi affreschi del santuario del SS. Salvatore. Per giorni Peppino Tangaro sostò in piazza pronto a intervenire per rifare un naso che il sole provava a sciogliere o un tratto del manto della Vergine. Noi bambini accorrevamo da tutta Andria ogni giorno per vedere se la statua era ancora in piedi. Ma quello che le cronache non raccontano è che in tutte le piazze o slarghi della città c’era una statua di neve fatta dai ragazzi o qualche sconosciuto artista. In quel momento di miseria collettiva gli andriesi seppero esprimere il meglio di se, che era poi voglia di vivere.

Fu in occasione di una mostra di reperti antichi (una ragazza aveva portato una foto della Madonna di neve aggraziata da una cornice antica) che conobbi il maestro Tangaro come docente. Era un corso per adulti presso il ctp della Salvemini. Avevo invitato gli alunni a portare tutto quello che avevano in casa appartenuto ai nonni. Quando vedemmo quel quadro fu naturale invitare Peppino a illustrarci l’evento e lui ne approfittò per fare una serie di lezioni sull’arte e sulla sua arte. Con mia sorpresa scoprii che Peppino usava un linguaggio comprensibile anche da chi non era avvezzo all’arte, soprattutto perché infioriva il suo racconto con tanti episodi di storia locale. Non era previsto alcun compenso e avevamo pensato a un omaggio a cura degli alunni. Ma lui lo seppe e ci diffidò da ogni iniziativa. Era così contento di aver potuto chiacchierare con degli alunni adulti che li volle nel suo atelier e fu una visita straordinaria: lo trovammo che stava lavorando a una tela mentre di fronte si ergeva quella dedicata al grande Eduardo De Filippo: non si scompose e con lo stesso camice sporco ci guidò nella visita. Bastò che gli dicessi che mi piaceva molto quel De Filippo che una settimana dopo me lo vidi arrivare con una sua foto su tela: omaggio dell’amicizia. Era fatto così: aveva iniziato la sua vita lavorativa facendo il contadino e il muratore: della civiltà contadina aveva mantenuto la serietà nel lavoro, l’onestà nei rapporti con gli altri, il rispetto della natura, la voglia di trasferire anche nella sua arte il mondo tormentato dell’anima.

Arrivò all’improvviso la notizia della sua morte l’ultimo giorno della festa patronale del 2011: c’era un senso in questa concomitanza? Io non sono superstizioso né sono aduso a trasformare le coincidenze in eventi rivelatori. Mi piace tuttavia immaginare che la Madonna dei Miracoli abbia aspettato la fine della festa per dedicarsi interamente a introdurre in paradiso adeguatamente il suo estimatore. Peraltro molti sono gli interrogativi esistenziali che traspaiono dalle sue opere, e proprio questa capacità di dare forme alle ansie della vita ad accreditarlo presso i galleristi e il pubblico competente. Le opere d’arte non muoiono mai e la soddisfazione di Peppino Lassù sarà piena quando anche la sua città darà prova di apprezzarlo adeguatamente.

A settembre prossimo saranno dieci anni dalla sua morte: la nuova amministrazione sarà in grado di arrivare all’appuntamento con una iniziativa capace di fare memoria delle sue opere a cominciare dall’affresco di via Duca di Genova? Dietro quell’affresco c’è la sua anima. Eliminare i tabelloni pubblicitari, restaurarlo e proteggerlo non è eccessivamente oneroso soprattutto con la collaborazione della famiglia e dei tanti estimatori. Grazie.

domenica 15 Novembre 2020

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Mastropasqua Antonio
Mastropasqua Antonio
3 anni fa

Il più originale, visionario e moderno pittore che la nostra città abbia mai avuto. Troppo avanti e incomprensibile per un pubblico (locale) impreparato, conservatore, non avvezzo ad una curiosità culturale, incolta, priva di mezzi per riconoscere un talento. O, alcuni, gelosi di quel talento. Tanto quindi opportunamente ridimensionato nella sua città di origine, quanto apprezzato fuori e all'estero. La solita storia di quel tratto caratteriale nazionale antipatico e odioso che ci contraddistingue. Sarebbe ora di riconoscere quel talento.

romanelli salvatore
romanelli salvatore
3 anni fa

Nemo profeta in patria. PEPPINO TANGARO è stato un GRANDE . Conosciuto in tutto il mondo ma ad Andria dimenticato. Grazie prof. D'Avanzo ci averci ricordato la sua persona. Conservo gelosamente un ritratto.
.

Carmela Pappalardo
Carmela Pappalardo
3 anni fa

Ho avuto la fortuna di essere una sua allieva nella sua bottega d’arte dal 1996 al 2000 circa…Ringrazio Dio per aver posto sulla mia strada il maestro Peppino….
Peppino Tangaro non è stato soltanto il mio maestro di pittura ma anche mio amico…Ricordo i chiari pomeriggi di primavera trascorsi in bottega a dipingere e a parlare di poesia ascoltando la musica di Lucio Dalla che lui amava tanto…
Ogni volta che dipingo il maestro è sempre con me e a lui dedico ogni pennellata….
Grazie Maestro Peppino per aver incrociato il mio cammino!